18 FEBBRAIO 1967: NASCE UNA STELLA
Ci siamo lasciati così, con queste immagini, solo qualche anno fa. Ma da quei giorni sembrano ormai passati secoli. A dire il vero la partita di Genova ha segnato solo l’addio a quella che però è sempre stata la tua vera squadra del cuore, la più amata delle maglie numero 10 che hai indossato: quella azzurra della Nazionale. Poi ancora un pò di Brescia prima di lasciare un grande vuoto nel calcio. Ma la tua storia è sempre stata tinta d'azzurro. All’inizio, era il 1990, il destino scelse per te la maglia numero 15 che illuminò, con giocate da capogiro, le notti magiche della Nannini e di Schillaci. Con la Cecoslovacchia per poco non ci uccidi Pizzul con uno slalom ai limiti dell’incredibile: "Baggio, va Baggio, ancora Baggio.... salta un avversario, un secondo... va Roberrrto...." Quella fu un’estate magica, ma allo stesso tempo difficile. Poche settimane prima il turbolento distacco dalla maglia viola e da Firenze, una città che quando ancora non eri nessuno, ti ha abbracciato, con un ginocchio già malconcio, ti ha aspettato, ma soprattutto ti ha amato, come poche volte si ama nella vita.
Poi meccanismi e interressi più grandi di te ti hanno portato alla Vecchia Signora, ed ecco arrivare i grandi successi, anche internazionali, ma soprattutto tanti e tanti gol, tante e tante magie che hanno saputo strappare lacrime e applausi a chiunque tifasse soprattutto per il calcio. Quanti palloni già visti in fondo alla rete prima ancora di un tuo tiro: bastava che la palla fosse al limite dell’aria o sul dischetto del rigore.
Quasi una formalità. Quasi. Perché la storia spesso è crudele e piena di sorprese. E non c’è bisogno di ricordare la finale mondiale, che avremmo quasi sicuramente perso al rigore successivo, per ricercare i momenti più difficili della tua carriera. Hai sempre avuto piedi e cuore d’oro ma ginocchia di argilla. Sei operazioni, sei resurrezioni, tra il sudore, le lacrime e i sacrifici. E nonostante tutto eccoti anche a Brescia, piccolo città di provincia, a regalare le emozioni più grandi, come il gol a Torino contro la Juve dopo uno stop (mamma mia!!!) che neanche pensandola ci si potrebbe immaginare così. Come non si poteva immaginare di vederti per molte domeniche in panchina a vedere i tuoi compagni giocare proprio sotto i tuoi occhi. Una sorte in certi momenti avversa, che ha voluto usare della gelosia e dell’incomprensione di tecnici troppo orgogliosi per lasciare a te i riflettori della scena. La scena che ti avevano regalato i tifosi, gli amanti del pallone, e non le telecamere e gli sponsor. Lippi, che un presidente troppo deluso e scellerato volle farti rincontrare in nerazzurro, Capello e lo stesso Trapattoni, che nonostante la sua grandezza non riuscì, evidentemente a reggere le aspettative e le pressioni che i giornali e le etichette avevano rovesciato, distruggendolo, su Del Piero. E così da Genova, ma da molto prima purtroppo, l’Italia non ha più avuto il suo numero 10. Del Piero ha sempre fallito l’appuntamento decisivo in azzurro, riscattandosi almeno in parte solo con la Germania, e di Totti ci si ricorda giusto uno sputo e un cucchiaio. Niente in confronto. Niente!!
E poi Roby ci hai fatto scoprire un po’ tutti tifosi del Bologna, quando decidesti di lasciarti le grandi squadre, le grandi delusioni, e quel magico codino, alle spalle. C’era di nuovo da lottare per un posto al Mondiale, per cui l’importante era riuscire a giocare. Incredibile, Baggio, dico Baggio, per giocare deve andare a Bologna. Se mi avessero detto che ero morto avrei fatto meno fatica a crederlo. Una sfida ancora una volta raccolta e vinta e che per poco, sì proprio quei centimetri che misurasti con la tua mano dopo quel tiro con la Francia, non ti avrebbe portato a vincere quel Mondiale sempre sfuggito a pochi metri dal traguardo.
La carriera di Baggio non è altro che una semplice e intensa storia d’amore, fatta di sorrisi, di lacrime e di abbracci: l’amore per il pallone, capace di conquistare il cuore di chi lo guardava giocare, creare, inventare soluzioni tanto inimmaginabili quanto incantevoli. Penso sia stato l’unico giocatore per il quale ho versato qualche lacrima; l’unico che realmente ha segnato il mio modo di guardare e di pensare al calcio. Un calcio, quello di oggi, che forse non saprebbe capirlo fino in fondo, ma che avrebbe davvero molto bisogno di campioni come lui. Di uomini come lui, capace, nel rispetto mai mancato verso chiunque, di dare tutto per ciò che amava di più. Forse proprio questo lo ha reso così unico e oggi così malinconicamente ricordato.
Peccato non poter condividere con te, caro Roby, altri 40 anni di giocate e di emozioni. Auguri!
Poi meccanismi e interressi più grandi di te ti hanno portato alla Vecchia Signora, ed ecco arrivare i grandi successi, anche internazionali, ma soprattutto tanti e tanti gol, tante e tante magie che hanno saputo strappare lacrime e applausi a chiunque tifasse soprattutto per il calcio. Quanti palloni già visti in fondo alla rete prima ancora di un tuo tiro: bastava che la palla fosse al limite dell’aria o sul dischetto del rigore.
E poi Roby ci hai fatto scoprire un po’ tutti tifosi del Bologna, quando decidesti di lasciarti le grandi squadre, le grandi delusioni, e quel magico codino, alle spalle. C’era di nuovo da lottare per un posto al Mondiale, per cui l’importante era riuscire a giocare. Incredibile, Baggio, dico Baggio, per giocare deve andare a Bologna. Se mi avessero detto che ero morto avrei fatto meno fatica a crederlo. Una sfida ancora una volta raccolta e vinta e che per poco, sì proprio quei centimetri che misurasti con la tua mano dopo quel tiro con la Francia, non ti avrebbe portato a vincere quel Mondiale sempre sfuggito a pochi metri dal traguardo.
La carriera di Baggio non è altro che una semplice e intensa storia d’amore, fatta di sorrisi, di lacrime e di abbracci: l’amore per il pallone, capace di conquistare il cuore di chi lo guardava giocare, creare, inventare soluzioni tanto inimmaginabili quanto incantevoli. Penso sia stato l’unico giocatore per il quale ho versato qualche lacrima; l’unico che realmente ha segnato il mio modo di guardare e di pensare al calcio. Un calcio, quello di oggi, che forse non saprebbe capirlo fino in fondo, ma che avrebbe davvero molto bisogno di campioni come lui. Di uomini come lui, capace, nel rispetto mai mancato verso chiunque, di dare tutto per ciò che amava di più. Forse proprio questo lo ha reso così unico e oggi così malinconicamente ricordato.
Peccato non poter condividere con te, caro Roby, altri 40 anni di giocate e di emozioni. Auguri!